articolo del
giornalista inglese Fred Pearce
comparso sulla rivista Internazionale (n 1010)
Gli ecologisti sostengono che per risolvere la crisi finanziaria sia
necessario prima affrontare i problemi dell’ambiente. Un’idea che sta
convincendo molti economisti
È una delle domande piú pressanti
del nostro tempo: qual è il nesso tra la crisi finanziaria e quella ambientale?
Sono la stessa cosa e vanno affrontate insieme, oppure bisogna concentrarsi
sull’ambiente prima di potersi occupare dell’economia? Nel libro Environmental Debt (Palgrave Macmillan
2013) l’attivista di Greenpeace Amy
Larkin sostiene in modo convincente che è meglio occuparsi prima
dell’ambiente. Affrontare condizioni climatiche estreme, inquinamento e
riduzione delle risorse, scrive Larkin, ha un costo enorme, che si sta
ripercuotendo sul capitalismo. La nostra indifferenza verso le “esternalitá”
della produzione di ricchezza ha generato un debito ambientale che sta
caricando su ognuno di noi un debito finanziario insostenibile. Gli
ambientalisti come Larkin, peró, non sono gli unici a sottolineare questo
nesso. Anche a Wall Street e nella City di Londra si fanno discorsi simili.
Via via che le risorse naturali
diventano piú scarse e piú costose, la loro crisi incombente si manifesta nel
crollo dei mercati. È la tesi di Paul Donovan e Julie Hudson, economisti della
banca svizzera Ubs. Il loro
libro From red to green? How the
financial credit crunch could bankrupt the environment (Routledge 2011)
sostiene che “esiste una seconda crisi del credito” di tipo ambientale. Saccheggiando
le risorse globali e indebolendo gli ecosistemi, scrivono gli autori, stiamo
riducendo il credito ambientale proprio come le spese eccessive con la carta di
credito riducono il credito finanziario. Le due crisi hanno “un rapporto
simbiotico”, affermano. “La festa deve finire”.
Le sinergie tra crisi finanziaria
e crisi ambientale saranno anche complesse, ma secondo molti economisti alla
base di quella finanziaria ci sono i consumi sfrenati, agevolati dal credito
facile. E gli ambientalisti ritengono che l’aumento del debito ambientale sia
causato dallo stesso consumismo smodato. Ma questo debito ha avuto un ruolo
diretto nella crisi finanziaria? Questo nesso è piú difficile da dimostrare. Il
rincaro delle risorse che diventano piú rare – metalli, prodotti agricoli,
legname e pesce – è stato un tema costante durante la fase precedente alla
crisi finanziaria.
Oggi sono sempre piú numerosi gli
uomini e le donne d’affari convinti che per rilanciare la crescita sia
necessario affrontare le questioni ambientali e quelle legate alle risorse. Il
consulente aziendale Eric Lowitt presenta alcuni di loro nel libro The collaboration economy (Jossey-Bass
2013), un lucido manuale sulle idee piú illuminate del mondo degli affari. Tra
i nomi piú famosi c’è quello di Paul Polman, direttore generale della Unilever,
una multinazionale che forse ha piú prodotti di chiunque altro sugli scaffali
dei supermercati. Lowitt afferma che secondo Polman bisogna riformare
radicalmente il modo di condurre gli affari: “le aziende come la nostra non
hanno piú scelta”.
Sostenibile è possibile
Ovviamente alcune aziende faranno
fortuna sfruttando – invece che risolvendo – la crisi ambientale. Per ogni
startup che intende guadagnare con l’energia rinnovabile c’è uno speculatore
pronto a ricordare ai potenziali investitori che la crescita della popolazione
mondiale causerá l’inevitabile aumento dei prezzi. Dove i verdi vedono la
catastrofe, qualcuno vede solo il profitto. Siamo condannati?
Il Worldwatch Institute, un
istituto di ricerca ambientale molto stimato, è un pó piú ottimista. In State of the World 2013: is sustainability
still possible?, i suoi esperti affermano che potremmo produrre energia rinnovabile,
sfamare nove miliardi di persone, risanare il paesaggio, stabilizzare il clima
e gestire l’acqua controllando le multinazionali e migliorando la giustizia
sociale: “non esistono impedimenti fisici né tecnici”. Basterebbe volerlo.
I legami tra le due crisi,
evidenziati in molti di questi libri, sono forti. Per me, peró, trascurano
tutti una differenza sostanziale. Il capitalismo è solo una macchina e se
qualcosa va storto si puó stornare il debito finanziario, in modo diretto
tramite il fallimento e in modo indiretto tramite l’inflazione. Ci si dá una
bella scrollata e si riparte. L’ambiente, invece, è il pianeta in cui viviamo.
Non possiamo dichiararci insolventi davanti al cambiamento climatico, stornare
gli ecosistemi che scompaiono e ridurre l’erosione del suolo attraverso
l’inflazione. Non c’è modo di sbarazzarsi del debito ambientale.
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